Sintesi della Storia della Fotografia
Premessa:
La macchina fotografica ha trasformato radicalmente il nostro modo di catturare e preservare i momenti della vita rispetto a quando tali iniziative erano demandate alla pittura.
Dalle prime versioni di camera obscura alle avanzate fotocamere digitali di oggi, la storia di questo straordinario strumento è un viaggio attraverso innovazioni, creatività e progressi tecnologici.
In questa mostra, viene rappresentata una parte dell’evoluzione della macchina fotografica, sono esposte fotocamere analogiche (a pellicola) che coprono, grosso modo, il periodo dal 1900 al 2000.
L’avvento del digitale ha poi reso la fotografia un elemento quotidiano della nostra vita.
La camera Obscura:
La storia della macchina fotografica inizia con la camera obscura, un dispositivo ottico antico che proiettava immagini invertite su una superficie. Lo studio e la sperimentazione di questo strumento ha portato alla comprensione dei princìpi ottici alla base della fotografia.
La ricerca di un elemento sensibile
Era già noto agli alchimisti del tardo Medioevo che alcune sostanze annerivano o comunque cambiavano di colore in determinate situazioni.
Il fenomeno però risultava di difficile gestione perché non erano state chiarite le condizioni in cui il medesimo si verificava.
Ancora nel corso del XVII secolo, il noto scienziato irlandese Robert Boyle riteneva che l’annerimento che il clorato d’argento subiva in certe situazioni fosse determinato dall’esposizione all’aria e non alla luce.
Il primo a verificare con metodo sperimentale che l’annerimento di certe sostanze era dovuto alla loro fotosensibilità fu il chimico tedesco Johann Heinrich Schulze, professore di anatomia all’università di Altdorf.
Nel 1725 riempita una bottiglia con un composto di gesso, argento e acido nitrico si accorge che l’annerimento si produce soltanto sul lato esposto alla luce.
A scopo di verifica e di conferma applica alla bottiglia sagome ritagliate nella carta, oppure foglie, osservando che al momento della loro rimozione è apparsa sul composto la sagoma chiara dell’oggetto applicato.
Naturalmente l’immagine della sagoma è temporanea, in quanto l’esposizione alla luce ne provoca in breve tempo il progressivo annerimento.
Alcuni anni più tardi, gli esperimenti del fisico italiano Giovanni Battista Beccaria provano in maniera definitiva che il fenomeno dell’annerimento è riferibile alle sostanze che contengono sali d’argento e che quindi è quest’ultimo elemento ad essere caratterizzato dalla proprietà di essere sensibile alla luce.
Un tentativo di applicare praticamente il fenomeno della fotosensibilità per ottenere immagini viene attuato da Thomas Wedgwood, figlio di Josiah Wedgwood ed erede dell’omonima dinastia di ceramisti britannici.
L’invenzione della fotografia – il Dagherrotipo.
Era il 1826 quando Joseph N. Niépce scattò la prima fotografia riproducendo dei tetti che si vedevano dalla finestra di casa sua. (vedi: “Vista dalla finestra a Le Gras” – Eliografia su lastra di stagno)
Il 19 Agosto 1839 è però la data ufficiale di nascita della fotografia. A Parigi, presso le Accademie delle Scienze e delle Arti Visive, venne presentata questa nuova invenzione dal suo ideatore, Louis Daguerre. “Il Dagherrotipo” un metodo che consentiva di fissare immagini su lastre di rame argentate esposte alla luce.
La Calotipia o Talbotipia.
Brevettato da William Henry Fox Talbot nel 1841. Questo metodo utilizzava carta sensibilizzata con cloruro d’argento per creare un negativo, che poteva poi essere utilizzato per produrre più copie positive. A differenza del dagherrotipo, che produceva un’unica immagine positiva, la calotipia permetteva la riproduzione di più immagini da un singolo negativo, rendendola un passo fondamentale nello sviluppo della fotografia moderna. Talbot scoprì inoltre che l’immagine poteva essere stabilizzata (quindi non più ricettiva alla luce) lavando il foglio con dello ioduro di potassio oppure con una forte concentrazione di sale. Questa procedura fu chiamata fissaggio.
La rivoluzione del Collodio
In fotografia, il collodio è stato usato come legante nelle emulsioni fotografiche nel procedimento detto appunto al collodio introdotto nel 1851 da F. Scott Archer. Tale procedimento soppiantò in breve tempo quelli della calotipia e della dagherrotipia e rimase estesamente in uso per una trentina di anni; fino a non molto tempo fa veniva ancora impiegato in alcuni settori delle arti grafiche. Le lastre, ricoperte con uno strato di collodio contenente in soluzione ioduri di potassio, venivano immerse in una soluzione di nitrato d’argento per formare un precipitato di ioduro d’argento e dovevano venire esposte mentre erano ancora umide (collodio umido).
L’Ambrotipia.
L’ambrotipia è un processo fotografico inventato da Frederick Scott Archer nel 1851. Questo metodo utilizzava una lastra di vetro rivestita con un collodio umido, sensibilizzata con nitrato d’argento. Dopo l’esposizione, la lastra veniva sviluppata e fissata, producendo un’immagine positiva diretta. L’ambrotipia è nota per la sua nitidezza e dettaglio, ma richiedeva un trattamento rapido poiché la lastra doveva rimanere umida durante tutto il processo.
A differenza del dagherrotipo, l’ambrotipo non richiedeva di inclinare la lastra per la visione, ma necessitava di una fonte di luce adeguata a causa del ridotto contrasto. Essendo un negativo su vetro, l’ambrotipo facilitò la stampa di fotografie su carta di qualità superiore rispetto alla calotipia. Il suo costo contenuto ne favorì la diffusione e l’uso fino agli inizi del XX secolo.
Il procedimento dell’ambrotipia utilizzava il collodio come legante, steso su una lastra di vetro pulita e immersa in una soluzione di nitrato d’argento per renderla fotosensibile. A questo punto la lastra era idonea all’esposizione, che doveva avvenire prima dell’asciugatura della lastra e richiedeva tempi variabili a seconda della luce disponibile. Dopo l’esposizione, la lastra veniva sviluppata e fissata con cianuro di potassio o tiosolfato di sodio. Infine, la lastra veniva laccata in nero o posizionata su un panno nero per trasformare il negativo in ambrotipo. Talvolta, gli ambrotipi venivano colorati a mano con colori all’anilina o pigmenti in polvere.
La Ferrotipia.
La ferrotipia, conosciuta anche come tintype, è un processo fotografico inventato negli anni 1850. Questo metodo utilizzava una lastra di ferro sottile, rivestita con un’emulsione fotosensibile, per creare un’immagine positiva diretta. La lastra veniva esposta alla luce, sviluppata e fissata, producendo un’immagine resistente e durevole. La ferrotipia era popolare per la sua economicità e rapidità di produzione, rendendola accessibile a un vasto pubblico.
L’epoca delle lastre secche.
Successivamente B. J. Sayte e W. B. Bolton introdussero (1864) il cosiddetto procedimento al collodio secco, nel quale le lastre venivano preparate con bromuro d’argento, più sensibile dello ioduro, e contenevano tannino come conservativo. Tale procedimento, non richiedendo la preparazione delle lastre immediatamente prima dell’esposizione, ne consentì la produzione industriale, iniziata nel 1867.
Si utilizzavano lastre di vetro come supporto per il materiale sensibile, che erano fragili e pesanti ma garantivano stabilità. Con l’introduzione del collodio secco, si cercò di sostituire le lastre di vetro.
Le Pellicole in rotoli.
La prima pellicola flessibile, brevettata da A. Parkes nel 1856, non richiedeva un supporto di vetro. Nel 1861, Parkes produsse pellicole su nitrato di cellulosa, da cui derivò la celluloide, inventata da John Wesley Hyatt tra il 1863 e il 1868. La celluloide, pur essendo flessibile e resistente all’umidità, era estremamente infiammabile, questo ne limitò l’uso.
Nel 1887, Hannibal Williston Goodwin brevettò l’uso della celluloide come supporto per pellicole fotografiche, rivoluzionando la fotografia e permettendo la nascita della cinematografia. Tuttavia, dagli inizi degli anni ’50, la celluloide non è più utilizzata a causa della sua infiammabilità, sostituita prima dal triacetato di cellulosa e poi dal poliestere. La pellicola cinematografica fu inventata da George Eastman nel 1885, e con l’avvento del XX secolo e delle macchine dei fratelli Lumière, nacquero nuovi formati e la possibilità di film a colori.
La pellicola cinematografica da 35mm.
Già nel 1909, il Congresso degli editori di film a Parigi stabilì che la pellicola 35 mm avrebbe avuto quattro perforazioni per fotogramma, secondo il progetto di Thomas Edison. Questo formato, modificato negli anni ’30 per includere le piste sonore, è stato in uso fino all’avvento del digitale (e lo è ancora per chi utilizza l’analogico). Nonostante i progressi nelle emulsioni e nei supporti, la pellicola cinematografica moderna è simile a quella di cent’anni fa. La celluloide, infiammabile, è stata sostituita dal triacetato di cellulosa e poi dal poliestere (PET), noto per la sua resistenza.
La prima Fotografia a Colori.
James Clerk Maxwell teorizzò la sintesi additiva dei colori e nel 1855 ottenne i primi risultati, pubblicati nel 1861. Il suo metodo utilizzava tre lastre con filtri blu, verde e rosso per creare diapositive che, proiettate insieme da tre proiettori aventi gli stessi filtri usati nella ripresa, riproducevano il colore originale.
Nel 1862, Louis Ducos du Hauron ideò un procedimento simile con filtri blu, giallo e rosso.
Nel 1868, Louis Ducos du Hauron osservò che un foglio di carta con linee colorate blu, verde e giallo appariva bianco per trasparenza e grigio per riflessione. Brevettò un metodo di fotografia a colori basato su questo fenomeno. Alla fine del XIX secolo, con la disponibilità di materiali sensibili pancromatici, il procedimento venne poi utilizzato per riprendere attraverso un reticolo di linee o granuli dei colori Blu, Verde e Rosso. In seguito all’inversione dell’immagine in bianco e nero, il complesso immagine-reticolo restituiva i colori originali.
Sfruttando questo principio i fratelli Lumière realizzarono le lastre Autochrome, la cui produzione iniziò nel 1907.
L’autocromia (o Autochrome) è un procedimento di fotografia a colori basato sulla sintesi additiva, brevettato il 17 dicembre 1903 dai fratelli Lumière, o, più precisamente, dalla “Société Anonyme des Plaques et Papières photographiques A. Lumière et ses Fils” (Società anonima di lastre e carte fotografiche A. Lumière e figli).
L’autocromia, introdotta sul mercato nel 1907, rivoluzionò il campo della fotografia a colori e diventò ben presto popolare, nonostante il costo e la complicazione. All’autocromia si devono, in particolare, numerose fotografie a colori della prima guerra mondiale. Materiali simili vennero prodotti in Germania (Agfacolor) e in Gran Bretagna.
Il procedimento Autochrome faceva uso di lastre di vetro e restò in auge fino agli anni 30, quando venne velocemente soppiantato dalle versioni su pellicola: il Lumière Filmcolor, su pellicola piana, nel 1931, e il Lumicolor, su pellicola in rullo, nel 1933. Il successo fu però di breve durata perché il Kodachrome e l’Agfacolor erano ormai alle porte. Il sistema rimase però vivo ancora per anni grazie a diversi appassionati, soprattutto francesi: la produzione dell’ultima versione, l’Alticolor, iniziata nel 1952, cessò nel 1955.
La Fotografia a Colori su pellicole “Moderne”.
L’era della fotografia a colori “moderna” iniziò nel 1935 con la pellicola Kodachrome, seguita nel 1936 dalla Agfacolor. Kodachrome richiedeva un trattamento speciale per aggiungere i colori durante lo sviluppo, mentre Agfacolor utilizzava tre strati sensibili al blu, verde e rosso, contenenti coloranti che formavano immagini con colori complementari. La Ciba sviluppò il sistema Cibachrome per la stampa di diapositive.
Le pellicole a colori odierne utilizzano ancora tre strati sensibili ai colori blu, verde e rosso. Questi strati sono disposti uno sopra l’altro e sono resi sensibili ai colori con delle molecole organiche chiamate sensibilizzatori spettrali. Durante lo sviluppo, questi strati producono immagini con i colori complementari (giallo, magenta e ciano), che poi si combinano per formare l’immagine a colori finale.
Il miglioramento delle fotocamere e degli strumenti
Il miglioramento delle fotocamere dagli anni ’40 ad oggi è stato straordinario. Ecco una panoramica delle principali evoluzioni:
Anni ’40 – ’50
- Fotocamere a pellicola: Le fotocamere a pellicola dominavano il mercato. Le fotocamere reflex a lente singola (SLR) iniziarono a guadagnare popolarità grazie alla loro precisione e versatilità.
- Miglioramenti ottici: Lenti più avanzate e rivestimenti antiriflesso migliorarono la qualità dell’immagine.
Anni ’60 – ’70
- Fotocamere istantanee: L’introduzione delle fotocamere Polaroid permise di ottenere foto istantanee, rivoluzionando la fotografia amatoriale.
- Automazione: Le fotocamere iniziarono a includere funzioni automatiche come l’esposizione automatica e il focus automatico.
Anni ’80 – ’90
- Fotocamere compatte: Le fotocamere compatte a pellicola divennero popolari per la loro portabilità e facilità d’uso.
- Fotocamere digitali: Le prime fotocamere digitali iniziarono a emergere, offrendo la possibilità di visualizzare le immagini immediatamente e di memorizzarle su supporti digitali.
Anni 2000
- Fotocamere digitali avanzate: Le fotocamere digitali reflex (DSLR) e le fotocamere mirrorless divennero lo standard per i fotografi professionisti e amatoriali avanzati.
- Miglioramenti nei sensori: I sensori digitali migliorarono notevolmente in termini di risoluzione e sensibilità alla luce, permettendo di scattare foto di alta qualità anche in condizioni di scarsa illuminazione.
Anni 2010 – Oggi
- Smartphone: Gli smartphone con fotocamere avanzate hanno reso la fotografia accessibile a tutti, con funzioni come l’HDR, la modalità notturna e la fotografia computazionale.
- Intelligenza artificiale: L’IA è stata integrata nelle fotocamere per migliorare l’autofocus, il riconoscimento delle scene e la stabilizzazione dell’immagine.
- Fotocamere mirrorless: Le fotocamere mirrorless hanno continuato a evolversi, offrendo prestazioni paragonabili alle DSLR ma in un corpo più compatto e leggero.
Questi miglioramenti hanno reso la fotografia più accessibile, versatile e di alta qualità, permettendo a chiunque di catturare momenti preziosi con facilità.